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L'ordine di una società non si dà mai come mero coordinamento fra piani di vita che restano, gli uni per gli altri, reciprocamente irrilevanti; l'ordine è tale solo se postula, come sua base, una autentica integrazione fra i singoli, intorno al senso delle pratiche socialmente rilevanti. Ed un ordine di tal fatta, mi sembra, non può che darsi nella storia e nello strutturarsi di una tradizione, alla cui determinazione provvede la riflessione che la comunità compie continuamente su sé stessa, argomentando pubblicamente intorno al senso che le pratiche sociali veicolano. Proprio in rapporto a tale funzione integrativa dell'ordine pubblico, ovvero alla sua capacità di dare ordine e forma alla molteplicità dei piani di vita individuali, si comprende come tale concetto possa essere proficuamente utilizzato per delimitare i confini dell'autodeterminazione soggettiva; confini che oggi - e la cronaca giudiziaria ce ne dà continua notizia - sembrano sempre più sfuggenti e labili.